Curiosità

Racconti dalla verde Irpinia, tappa a Solofra

Racconti dalla verde Irpinia, un viaggio tra i comuni della provincia di Avellino, tra storia, cultura, gastronomia e racconti antichi. Questa settimana tappa a Solofra.

Racconti dalla verde Irpinia, il nostro viaggio prosegue e questa settimana fa tappa a Solofra

 

Il Paese: Solofra

Superficie territorio: Kmq 21,93

Nome abitanti: Solofrani

Fiere e feste: San Michele (8,9 Maggio – 29 Settembre)

 

La valle solofrana è stata abitata fin dal paleolitico superiore, come dimostrano i recenti ritrovamenti di focolari, resti osteologici e ritrovamenti di focolari. In età sannita ( V – III secolo a. C.), nuovi gruppi umani impiantarono stabili insediamenti le cui necropoli, con tombe costruite in cassoni di tufo e ricche di corredi funerari, sono state localizzate nella zona Scorza e Pastena,  Con l’avvento della dominazione romana, nella valle furono stanziate numerose ville rustiche a produzione schiavistica, testimoniate fra l’altro da due complessi di età tardo repubblicana (I secolo a. C.). Il toponimo attuale del paese  deriverebbe dall’osco  Sulufris, trasformato foneticamente in Solufrum, Sulufra, Solofrae, Solofra. La prima notizia storica del borgo è contenuta in un atto notarile del 1015, dove si legge che un Maione, che ne era signore,  dona a tal Falcone una proprietà sita in località Solofrae.  Nel 1182 il feudo era in possesso di  Giacomo de Tricarico, a cui seguirono i discendenti Ruggiero (1187) , Giacomo II (1240),  Nicola (1260),  e Giordana de Tricarico (1285). Il figlio di costei  Riccardo Filangieri, ricevette nel 1297 in eredità il borgo. Passò poi a Francesca della Marra (1321),  Filippo Filangieri (1351),  nel 1372 ne ottenne l’investitura il conte di Avellino, Giacomo Filangieri. Nel 1417 ne prese possesso Francesco Zurlo, conte di Montoro e Protonotario del Regno, ma i Filangieri, che non intendevano cedere i loro diritti, alleatosi con Giacomo Antonio della Marra assediarono il castello locale. Questa lotta durò allungo fino a quando la Regina Giovanna II, impose ai Filangieri di desistere nelle loro pretese.  Nel febbraio del 1463 Ferante I d’Aragona assegnò definitivamente Solofra a Salvaltore Zurlo, seguito nel 1495 dal nobile Ettore Zurlo, il quale per aver favorito Luigi  XII, venne privato dei beni da Ferdinando il Cattolico, dal quale l’ebbe nel 1560 Ercole Zurlo.  Quest’ultimo fu accusato di  ribellione e mandato in esilio, dove visse in povertò, da Carlo V di Francia, dopo che la guarnigione imperiale venne sterminata nella fortezza solofrana dalle truppe del Lautrec.  Il feudo nel 1528 acquistato per tremila ducati da Beatrice Ferrillo, duchessa di Gravina e vedova di Ferdinando Orsini. Alla famiglia Orsini di Gravina il paese appartenne fino all’abolizione dei diritti feudali.

 

(spunti storici dal libro di Giampiero Galasso – I Comuni dell’Irpinia 1989)

Da visitare

Collegiata di San Michele Arcangelo

Monumentale chiesa costruita  nella prima metà del XVI secolo, è stata quasi completamente ristrutturata  fra il 1733 e il 1750. La facciata in stile barocco, possiede un artistico portale in pietra racchiuso fra due colonne monolitiche, poggianti fra alti piedistalli in travertino, poste a sostegno di  un architrave con superiormente una nicchia in cui vi è la statua di San Michele . Vi si notano inoltre due piccoli portali laterali e tre finestroni a capanna. L’interno, a tre navate,  con cappelle laterali, ha un pavimento marmoreo ed un soffitto ligneo centrale a cassettoni con tele settecentesche di Giovanni Tommaso Guarini., rappresentanti episodi presi dal Vecchio Testamento. Fra la navata centrale e l’abside, vi sono altre tele della prima metà del 700 di Francesco Guarini con motivi e scene del Nuovo Testamento. Sempre all’interno si possono ammirare un organo del 1579, l’altare maggiore in marmi policromi intarsiati, la grande tela del 1594 di Bernardo Lama, racchiusa in una preziosa cornice in legno dorato e raffigurante l’Incoronazione di Maria SS Vergine degli Angeli, un dipinto del 1774  di Giovan Battista De Mari con l’Assunzione, una tela del 1654 di Angelo Solimena, rappresentante la Pentecoste, l’altare marmoreo della Trinità del 1622, opera di Tommaso Guarino, la tela settecentesca dell’Immacolata di Francesco Guarini, un dittico quattrocentesco raffigurante i SS. Giovanni ed Antonio, una cantoria  intagliata in legno dorato ed ornata da pannelli con personaggi del Vecchio Testamento, le statue lignee di santi del 700 e del 800.

 

Palazzo Ducale

Costruito  fra il 1555 e il 1570 per volere di Beatrice Ferrillo, moglie del duca Ferdinando Orsini, il palazzo è stato rifatto dopo il terremoto del 1688. La facciata presenta una serie di finestroni modulari disposti in due piani, un lungo cornicione ed un artistico balcone centrale.

 

Fontana dei quattro leoni

In stile barocco, risale al 1733. Composta da una vasca quadrangolare, una stele con delfini, una conchiglia lapidea da cui fuoriesce l’afflusso dell’acqua e quattro leoni adagiati agli angoli della vasca.

 

Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli

Del piccolo edificio di culto di ha notizia già dal XIV secolo, anche se fu completamente ristrutturato nel 1583 e nel 1728. Pregevoli all’interno l’altare maggiore in marmi policromi intarsiati, due altari marmorei del0785 ed un dipinto settecentesco, racchiuso in una cornice legnea dorata di Felice Guarini, che raffigura la Madonna di Montevergine.

 

Chiesa di San Domenico

Costruita nel 1650, per volere della nobile Dorotea Orsini, fu ampliata nel corso del XVIII secolo.  La facciata del tipo a capanna semplice, possiede un portale in pietra del 1686. L’interno a tre navate possono ammirarsi una tela del 1644 con decorazioni ornamentali di Francesco Guarini, raffiguranti la Madonna del Rosario, un dipinto del 1680 di Angelo Solimena con figura centrale di S. Cirillo, un quadro di San Egidio, l’altare maggiore seicentesco in marmi policromi ed altre tele del 700 situate nella navata centrale.

 

Chiesa di Santa Teresa

Monumentale edificio costruito nel 1692, all’interno sono custoditi un antico altare in marmi policromi intarsiati ed un dipinto del 1697 di Francesco Solimena rappresentante la Crocifissione.

 

Castello Medioevale

Del forte di epoca normanna non restano più tracce. I ruderi che si vedono attualmente sul colle del monte Pergola si riferiscono al castello ricostruito in epoca aragonese. Si notano ancora due torri angolari a pietra quadrata con piccoli ambienti inseriti e pareti esterne verticali. Visibili resti di cisterne interne al maniero ed una delle porte arcuate d’ingresso situati nei pressi del settore nord dell’edificio.

 

Prodotto tipico locale: La concia della pelle

 

Solofra è una delle realtà produttive più specifica della terra irpina, il suo mondo economico si fonda da sempre sulla concia della Pelle, è storia antica quella della concia, ve ne diamo un assaggio…

La concia delle pelli è nata a Solofra legata alla sua antica attività che era quella pastorale.

È stata favorita dalla presenza sul posto di vegetali contenenti tannino (il castagno, la noce, il cerro), di rocce per la produzione della calce e di acqua.Inizialmente era praticata con sistemi rudimentali in fosse a cielo aperto (dette lontri, cantari o burrelli).

La concia si ampliò perché Salerno ebbe bisogno delle pelli conciate per la sua industria armentizia (lana e pelli) e per la produzione di pelli dorate (oropelle) richieste dal commercio della grande Repubblica marinara di Amalfi e perché la pieve solofrana di S. Angelo e S. Maria (la futura Collegiata di S. Michele Arcangelo), che dipendeva dal Vescovo salernitano, favorì i rapporti con la città.I Normanni e Federico II di Svevia protessero con importanti privilegi la concia che si svolgeva sulle rive dell’Irno e del Saltera-flubio-rivus siccus (S. Severino-Solofra).Nel periodo angioino (tra il XIII e il XIV secolo) ci fu un massiccio trasferimento di artigiani salernitani della pelle a Solofra favoriti dal fatto che la feudataria Francesca Marra si imparentò in seconde nozze con una potente famiglia salernitana, i conciatori de Ruggiero, che resero più intensi i rapporti con Salerno il cui mercato divenne per Solofra un punto di riferimento importante. Legato a queste immigrazioni ci fu l’assorbimento della pieve (divenuta chiesa di S. Angelo) da parte della comunità e la sua trasformazione in chiesa ricettizia, che fu un essenziale sostegno al commercio solofrano. Ulteriore aiuto all’attività solofrana venne da un proficuo rapporto di natura artigiano-mercantile-finanziaria con Napoli del cui hinterland economico Solofra entrò a far parte e del quale furono importanti punti di riferimento i medici Fasano (XIV secolo) che ottennero diverse prerogative per il commercio solofrano. Già in questo periodo la comunità formò un importante articolo dei suoi Statuti in cui regolava l’uso dell’acqua nelle vasche di concia e il suo riutilizzo (acque lorde). Gli Aragonesi (XV secolo) sostennero l’industria armentizia di tutta l’area (Giffoni-Salerno-Sanseverino-Solofra) per cui la concia solofrana subì un ulteriore sviluppo con l’introduzione di altre forme artigianali della pelle (pergamene, calzature, cordami, oropelle, lana) mentre il commercio si aprì ad altri mercati. Tutto ciò determinò un aumento demografico tanto che Solofra ebbe uno sviluppo urbano di ben quindici casali. Altre realizzazioni furono: la costruzione della Collegiata di S. Michele Arcangelo, un evento economico di grande valenza e la costituzione dei nuovi Statuti. Già all’inizio del Cinquecento la realtà artigiana della concia e della lavorazione della pelle era molto importante.Qui si è ricostruita una conceria del Cinquecento dalle descrizioni dei rogiti notarili.Nel Viceregno l’attività solofrana, pur continuando ad essere al centro della realtà artigianale locale, subì le involuzioni della economia meridionale soprattutto nella mancanza di moderne strutture produttive e di organizzazione aziendale. Alla metà del XVIII secolo a Solofra c’erano 65 botteghe e magazzini di conceria dislocate nei vari casali che impegnavano oltre 600 persone.Con la Rivoluzione Napoletana del 1799 l’attività subì un considerevole danno tanto che le concerie si ridussero drasticamente.

(tratto da Da M. De Maio, Alle radici di Solofra, Avellino, 1997)

 

Rubrica a cura di Elizabeth Iannone

Racconti da tutta l’Irpinia

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