Politica

Calabritto, sangue e dolore

CALABRITTO. Il viaggio nei ricordi del terremoto è intenso. Fissare lo sguardo negli occhi di chi ha visto la realtà annichilirsi in un cumulo di macerie trasmette con potenza gli odori, quei giorni, quel cielo distante e di latta che persiste come scottatura nella mente di chi racconta al punto che la memoria non è comprensibile per il messaggio ma per l’impatto emotivo, l’empatia, di cui quel vissuto è capace.

Calabritto fu completamente distrutto dal terremoto, un volontario che prestò la propria opera di soccorso in quel paese racconta: «Il paese era letteralmente crollato. Noi arrivammo e mettemmo in piede una struttura con il necessario per accogliere le persone. La sera stessa distribuimmo il primo pasto caldo. Ricordo ancora i telegiornali (prima di partire) che parlavano di situazione ‘sotto controllo’. La disorganizzazione era grande, i militari inviati arrivarono con le divise primaverili. Faceva così freddo che erano costretti a camminare con delle buste intorno agli stivali per non far penetrare l’acqua. La sera li trovavamo in fila insieme alla popolazione per ricevere un pasto caldo». Tessuto sociale da rifare e qualche ingiustizia nell’assegnazione nelle roulottes costrinsero i volontari a creare una sorta di graduatoria di merito per l’assegnazione per evitare che ci fossero “raccomandazioni”: «La prima roulottes fu assegnata al cognato del sindaco. Fummo costretti a creare un elenco di merito che ci creò non pochi problemi con la realtà istituzionale del paese».

 

Articolo con il contributo di Alessandro Mazzaro

 

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