Inchiesta

Il “volontario di Matera”, una storia dal terremoto dell’80

Il quotidiano di tante famiglie come tutte le altre, vite semplici in contesti normali, indifferenti a tutti gli altri nel meridione, in poco il simbolo del dolore, immagine della precarietà dell’esistenza e delle cose.
«Da Sant’Andrea di Conza c’erano pochi chilometri, e presto ci trovammo di fronte ad uno scenario che non avrei mai voluto vedere in tutta la mia vita: un paese completamente raso al suolo; da sotto i cumuli di pietra si estraevano solo cadaveri maciullati». Così racconta, il terremoto dell’80, Antonio Ditaranto di Montescaglioso, il “volontario di Matera”.

 

Ideologie superate dal fare

 

«A Conza alla fine si contarono oltre 600 morti su una popolazione di neanche 800 persone, io ero riuscito a mettere in funzione un vecchio gruppo elettrogeno con il quale riuscii a dare corrente ai locali di una scuola dove allestimmo una base per i primi soccorsi e il vettovagliamento – raccontava a “Il Ponte Nuovo” la sua esperienza di volontario e fervente comunista – A Conza eravamo rimasti solo io ed un altro ragazzo di Montescaglioso, e, ironia della sorte, era un attivista di un gruppo fascista di estrema destra con il quale in passato mi ero picchiato decine di volte.

Io solo lì con un fascista e la sua macchina, dovevo evitarlo o accettare la situazione e quindi stringergli la mano mio malgrado e lavorare fianco a fianco? Credo che le stesse cose siano passate nella mente di quel ragazzo, alla fine ci guardammo negli occhi e ci dicemmo: ciao, io sono Tonino, ciao io sono Emanuele, e ci stringemmo la mano, anche se già sapevamo molto bene come ci chiamavamo. Passò tutto in un attimo, alle spalle avevamo il nostro passato, di fronte il futuro, un futuro che in quel momento aveva l’odore della morte, la morte di quanti giacevano di fronte a noi in quelle misere casse di legno, di quanti ancora restavano sotto quelle macerie e che ci sarebbero rimasti per sempre, sotto una colata di calcestruzzo, non più nemici pieni di odio e rancore, ma amici di una amicizia che sarebbe durata in eterno perché nasceva dalla voglia di entrambi di essere in qualche modo di aiuto a quelle persone che in un istante avevano perduto tutto».

 

Lo sciacallaggio…

dei rappresentanti delle istituzioni

 

Antonio, come fiume in piena, consegna alla storia il racconto delle cose dei giorni più difficili: «Assistemmo a fatti davvero sconcertanti, fummo testimoni di atti di sciacallaggio inimmaginabili, sindaci e personaggi che avrebbe dovuto essere i protagonisti in positivo degli aiuti, che invece imboscavano i rifornimenti alimentari e vestiari nei propri garage, plotoni dell’esercito che arrivati per soccorrere si erano portati dietro fucili e baionette invece che vanghe e attrezzature da lavoro; i veri aiuti venivano invece da gruppi di volontari arrivati da tutta Italia e che si prodigavano per assicurare a quelle povere genti conforto e pasti caldi».

 

La speranza tra le macerie

 

C’è tuttavia spazio anche per una bella storia, accaduta a Sant’Angelo dei Lombardi: «Da sotto le macerie di Sant’Angelo dei Lombardi fu tirata fuori una bambina di undici anni, miracolosamente ancora in vita. Emanuele con il baracchino installato sulla propria macchina riuscì a chiamare un elicottero di soccorso che in pochi minuti trasportò la bimba in ospedale; finalmente, dopo giorni e giorni di angoscia e disperazione, un episodio che ci dava un po’ di gioia e che ci spronava ancora di più ad aiutare quella gente, consapevoli che ognuno di noi era importante in quella lotta contro il tempo e contro l’inverno che ormai si era abbattuto implacabile su quelle terre sciagurate».

 

 

Articolo a cura di Alessandro Mazzaro

 

 

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